lunedì 21 ottobre 2019

HEGEL



HEGEL E LA RAZIONALITÀ DEL REALE
Il pensiero di Hegel costituisce un punto di riferimento essenziale per la riflessione posteriore. Alla base del progetto e hegeliano c'è una nuova idea di ragione, in grado di cogliere l'unità oltre le differenze e la totalità nel superamento dell'unilateralità delle parti contrapposte. Compì i suoi primi studi universitari nel seminario protestante di Tubinga. Hegel rimase fedele per tutta la vita a due passioni giovanili, Kant e la Rivoluzione francese. Egli riteneva infatti che la Rivoluzione francese potesse essere vista non solo come modello di libertà, ma anche co ma anche di unità nazionaleL'educazione teologica che il giovane Hegel ricevette è rintracciabile in tanti aspetti del suo sistema filosofico e del complesso linguaggio che egli utilizza. 

GLI SCRITTI GIOVANILI 
Gli scritti teologici giovanili ci mostrano la matrice religiosa di molte categorie della filosofia di Hegel. In particolare, lo spirito del cristianesimo, il suo destino esalta il cristianesimo come la religione più compiuta in quanto rappresenta la riconciliazione tra Dio e il mondo, il sovrannaturale e la natura. Vi é un'aspirazione costante: la tensione verso l'interno e la totalità, il superamento della scissione. Per lui ciò che rende grande la religione cristiana è proprio l'amore, la forza che permette al fedele di riconciliarsi con Dio.

LA RICERCA DI UN METODO SCIENTIFICO PER LA FILOSOFIA 
La preoccupazione principale dell'autore è di assicurare la filosofia un metodo scientifico e conferirle una forma rigorosa. La filosofia, egli sostiene, non deve soffermarsi sul fantastico, ma deve essere concreta, evidente, in grado di diventare un ben comuneNaturalmente Hegel non pretendeva di applicare il metodo matematico alla filosofia, ma intendeva conferire un ordine razionale. 

I CAPISALDI DEL SISTEMA HEGELIANO. 
Sono tre i concetti che costituiscono i cardini di tutto il suo complesso sistema filosofico: 
-La convinzione della razionalità del reale 
-l'idea che la verità coincide con l'intero, il "tutto" 
-la concezione dialettica della realtà e del pensiero

Il primo e fondamentale concetto dell'hegelismo è quello secondo cui ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale, il che significa che la realtà, coincide con la realizzazione ed il dispiegarsi progressivo di un principio razionale: lo spirito, definito anche idea o assoluto. La realtà coincide con la ragione, che ne costituisce la legge di sviluppo e l'essenza profonda; una concezione che segna la distanza tra Hegel e gli Illuministi. Per Hegel la filosofia non è un compito prescrittivo ma descrittivo, essa deve chiarificare ed esplicitare la legge razionale immanente nelle cose e negli eventi della storia. 
La filosofia è sempre sapere che si volge a indagare una realtà già dispiegata; è coscienza di ciò che è stato ed è accaduto. In questo senso Hegel può affermare che "nessuna filosofia oltrepassa l'età tua". Il filosofo non può quindi spingersi oltre l'orizzonte della propria epoca. 

LA DIALETTICA 
Per Hegel lo sviluppo dell'idea segue una legge che il filosofo definisce "dialettica". La dialettica è regola interna della realtà e, nello stesso tempo, legge del pensiero. La dialettica si compone di tre momenti.  
Il primo è quello definito "intellettuale" o "astratto" e coincide con la "determinazione" delle cose. A questo livello la realtà appare costituita di oggetti separati e staticamente contrapposti gli uni agli altri.
Il secondo momento è quello propriamente "dialettico" o della "negazione" (antitesi): in esso ogni determinazione si scopre unilaterale e limitata, cogliendo il suo nesso inscindibile e necessario con la determinazione opposta. Organo di tale comprensione è il pensiero razionale, che riesce a chiarire la realtà nel suo interno dinamismo.
Il terzo momento è quello "speculativo", che, al momento negativo dell'opposizione, sostituisce quello positivo della sintesi. Il movimento dialettico si capisce meglio se si tiene conto che il esso è reso in tedesco da Hegel con la parola Aufhebung, che significa al tempo stesso "superamento" e "conservazione": essa indica quel processo che nega e abolisce le determinazioni astratte e parziali, ma per conservarle ed elevarle. Gli studiosi hanno sottolineato la derivazione teologica della dialettica hegeliana, riconoscendone una possibile origine nella formazione religiosa del filosofo. Hegel secolarizzerebbe tali categorie, applicandole al divenire storico dell'Assoluto che, nella sua visione, assume caratteri del divino, inteso come il principio razionale immanente della realtà. Hegel afferma inoltre che l'essenza del sentimento amoroso consiste nel fatto che unifica gli esseri viventi.




domenica 6 ottobre 2019

SCHELLING
IDEALISMO OGGETTIVO
    La filosofia di Schelling viene definita idealismo oggettivo (o filosofia della identità) poiché, reagendo all’idealismo soggettivo di Fichte che relega la natura al ruolo di semplice non-Io, restituisce ad essa la sua realtà e la sua dignità mettendola sullo stesso piano dell’Io. 
    Secondo Schelling infatti occorre porre come originario un principio concepito come unità indifferenziata (o identi) da cui derivano sia la natura che lo spirito, il soggetto e l’oggetto. Schelling identifica tale principio nell’Assoluto, unità indifferenziata o identità di soggetto e oggetto.
    Diversamente da Fichte, Schelling sostiene però che la natura (il non-Io) non è un semplice strumento dello spirito per la realizzazione della vita morale, ma possiede un suo valore autonomo, e differisce dallo spirito solo perché è un’attività spirituale di grado inferiore o inconscia che tende verso la coscienza come la meta di un lungo processo che si compie soltanto nell’uomo. La natura è infatti una realtà dinamica e intimamente spirituale, una gradualità di processi entro i quali una coscienza addormentata si viene progressivamente svegliando. Si ha così una negazione della realtà della materia che viene ricondotta allo spirito sotto forma di forze di attrazione e repulsione. 
  L’idea di fondo della filosofia di Schelling è che esiste uno stesso slancio vitale che percorre e unisce natura e spirito, mondo e io, realtà materiale e realtà ideale. Essi formano una totalità, un organismo universale. Il sistema della natura e il sistema dello spirito non mettono dunque in luce che i due aspetti di uno stesso essere che può essere ritrovato percorrendo due vie diverse: partendo dalla natura per risalire allo spirito oppure partendo dallo spirito per risalire alla natura. 
L’analisi filosofica di Schelling si articola perciò in due momenti:
1) Prima via: la filosofia della natura, che parte dall’oggettivo per derivarne il soggettivo. Essa descrive lo sviluppo della natura, intesa come una realtà organica unitaria, dalle sue forme più semplici (regno minerale, vegetale, animale, ecc.) fino all’emergere dello Spirito, con l’uomo.
2) Seconda via: la filosofia trascendentale, che parte dal soggettivo per derivarne l’oggettivo. Essa descrive come la spiritualità inconscia divenga Spirito consapevole nell’uomo e plasmi la realtà e la Storia.
In un primo momento l’uomo avverte la natura come qualcosa di completamente distinto da sé (sensazione) e le ragioni per cui ciò avviene sono analoghe a quelle che esponeva Fichte: l’io ha bisogno di avere di fronte a sè degli oggetti avvertiti come estranei per poter esplicare quell’attività che costituisce la sua natura. 
L’io poi passa attraverso altre fasi di sviluppo fino a riconoscersi, nel momento conclusivo (riflessione atto assoluto di volere), come costitutivo della realtà stessa. Il soggetto avverte di essere padrone e plasmatore della natura e della realtà, che non percepisce più come estranea a sé ma in suo potere e totalmente plasmata dalle sue strutture soggettive.
Riassumendo, possiamo dire che Schelling traccia una vera e propria storia filosofica dell’Io, individuando tre momenti: 
1. Prima epoca: sensazione (l’oggetto è avvertito come estraneo, come un dato che limita l’io)
2. Seconda epoca: intuizione (l’io comincia ad avvertire se stesso, ma si sente ancora immerso negli oggetti)
3. Terza epoca: riflessione e volontà (l’Io si sente padrone degli oggetti e diventa consapevole di poterli gestire con la propria volontà). Entriamo qui nel mondo umano e nel campo della Storia, dove l’Io diventa padrone di sé e si autodetermina. 
 Come abbiamo appena mostrato, secondo Schelling l’acquisizione della consapevolezza dell’Assoluto, ovvero dell’identità di natura e spirito, si può raggiungere attraverso le due vie descritte (filosofia della natura e filosofia trascendentale). Tali vie offrono però un tipo di consapevolezza ricostruita, mediata, indiretta e non immediatamente intuitiva e chiara. Questa consapevolezza immediata si può avere solo per via estetica. Nell’attività creatrice dell’arte si ha la sintesi di soggetto e oggetto, spirito e natura, conscio e inconscio. E’ questa una delle caratteristiche peculiari dell’idealismo di Schelling, che perciò è stato anche caratterizzato come idealismo estetico.
    La filosofia di Schelling è una forma di monismo idealistico perché sostiene che tutta la realtà è la manifestazione di un unico principio spirituale. Questo principio si ravvisa in tutti gli aspetti della realtà sia quelli inconsci (la natura) sia quelli consci (il mondo umano, la Storia, ecc.).
FICHTE:
       IDEALISMO SOGGETTIVO O ETICO

    La filosofia di Fichte viene definita idealismo soggettivo(o etico) perché elimina il noumeno kantiano (ritenuto qualcosa di contraddittorio: se esso è inconoscibile, allora non è lecito, sul piano teoretico, affermarne o negarne l’esistenza) e riduce tutta la realtà a rappresentazione o atto del soggetto (Io).
    Principio di ogni cosa è dunque l’Io puro, cioè non l’Io empirico di questo o di quell’uomo, ma l’Io nella sua universalità, come natura costitutiva di qualsiasi uomo.
    L’Io puro viene inteso da Fichte non come una sostanza stabile e permanente, ma come un’attività che non subisce imposizioni dall’esterno, ma cerca e costruisce da se stessa la propria verità e la propria felicità. In questo egli è vicino alla concezione dell’uomo elaborata nel Rinascimento: l’uomo è l’unica creatura la cui essenza consiste nel non avere un’essenza prestabilita, ma che è chiamato a darsela secondo le proprie scelte. Ma questa concezione dell’uomo va ricondotta anche all’atmosfera illuministica entro cui il filosofo è vissuto: l’idea che l’uomo possa dominare la realtà con la propria ragione e con il proprio spirito, trova un corrispettivo metafisico nell’elaborazione della teoria idealistica secondo cui tutto è spirito e nulla si sottrae alla razionalità umana: tutta la realtà è spirituale e razionale, nessun “noumeno” limita l’uomo.
    Proprio per esplicare la sua natura attiva, l’Io pone il non-Io, ovvero l’ostacolo che deve  necessariamente avere davanti e tentare di superare. Non c’è infatti alcuna attività se non vi sono ostacoli da superare. Solo così è possibile intendere l’Io come un’attività. 
    Nel porre davanti a sé l’ostacolo (che Fichte chiama non-Io), l’Io si limita e diventa molteplice. Ecco allora che dall’unicità dell’Io puro indivisibile si passa alla molteplicità degli Io empirici, che costituiscono l’umanità.
    Questo triplice processo che spiega la derivazione di tutta la realtà dall’Io, viene riassunto da Fichte in tre momenti, che egli chiama “i tre principi della dottrina della scienza”
a) l’Io pone se stesso; 
b) l’Io pone il non-Io; 
c) nell’atto di limitarsi ponendo il non-Io, l’Io diventa molteplice e si frantuma in una moltitudine di Io empirici.
    E’ un processo logico e non cronologico. Va inteso perciò come qualcosa di eterno e fuori dal tempo. Ciascuno dei tre momenti non viene uno dopo l’altro ma ciascuno implica logicamente l’altro, come in una una formula matematica: i singoli elementi di cui essa è costituita non vengono uno dopo l’altro, ma si implicano e si comprendono a vicenda, tanto che nell’atto in cui si parla dell’uno occorre fare necessariamente riferimento all’altro e non è possibile isolarli e separarli.  
    Il compito dell’uomo, ovvero dei singoli Io empirici derivanti dalla frantumazione dell’Io puro, è quello di superare la scissione raggiungendo la situazione dell’Io puro privo di limiti e di ostacoli, perciò libero e infinito, incondizionato, non limitato da nulla. Ecco allora che per gli Io empirici, questo processo di superamento del non-Io può essere inteso solo come un ideale; cioè non è mai  una realtà in atto ma una meta ideale del loro agire. Fichte sostiene che per gli Io empirici l’infinito e la libertà non esistono come realtà in atto, ma come continuo sforzo o tensione per raggiungerli (Streben). Meglio parlare perciò di infinitizzazione più che di infinito, per gli uomini. 
    Il processo di infinitizzazione degli io empirici va inteso come un processo inesauribile, perché deriva dalla stessa struttura logica (e non cronologica: non ha perciò un inizio e una fine, ma è eternamente in atto nelle stesse modalità) della realtà (Io – non-io – frantumazione degli io e loro tentativo di ripristinare l’unità originaria). 
    Ciò spiega anche perché l’idealismo di Fichte viene caratterizzato come idealismo etico: l’Io empirico è costituito da un preciso compito, un dovere inesauribile, di superamento del limite, che si rivela essere la caratteristica principale del suo essere. 
    Dal punto di vista politico, Fichte sostiene che l’integrazione dei diversi popoli condurrà alla ricomposizione dell’intera umanità in un unico Io, riaffermando l’unità originaria. In questo processo di integrazione il popolo tedesco ha un ruolo di guida: da qui il nazionalismo di Fichte.